[Prof. Giovanna Nicolaj has accepted to republish here the pages she wrote as an afterword to the last volume of the Chartae Latinae Antiquiores: Part CXVIII, Addenda II, Dietikon-Zürich 2019. Her text is also here as a PDF].
[Queste pagine sono già uscite come Postfazione nell’ultimo volume della serie: Part CXVIII, Addenda II, Dietikon-Zürich 2019].
Nell’ormai lontano 1954 usciva il I volume delle Chartae Latinae Antiquiores, la grande serie di documenti fondata e diretta da Albert Bruckner e Robert Marichal e dedicata alle chartae su papiro o pergamena, datate o databili entro l’VIII secolo (fino all’anno 800).
L’opera di riproduzione, edizione ed esegesi dei testi, complessa e assai cospicua, terminava nel 1998, al traguardo di 49 volumi, ma appena prima che si chiudessero i lavori l’editore Urs Stocker chiedeva a Guglielmo Cavallo e a me se il programma ideato un tempo e ormai in via di completamento dovesse o potesse essere ulteriormente integrato. Dapprima si pensò di includere nella serie le note tavolette pompeiane ed ercolanesi del I secolo, antico supporto ligneo di documenti e perciò progenitrici delle future chartae, ma questa integrazione non è stata possibile perché lo stato di conservazione di quel materiale non ne ha permesso la riproduzione. Poi, di seguito a un suggerimento di Alessandro Pratesi, passammo a prendere in considerazione la documentazione del IX secolo (età carolingia).
Questa ipotesi ha posto subito due questioni, in primo luogo quella della congruenza dell’integrazione stessa: vale a dire, i documenti del IX secolo – fra rinascenza carolingia e successiva crisi – possono essere considerati antiquiores e quindi non stridere con la linea dell’opera tutta?
Si sa che la storia ha sempre a che fare con problemi di tempo, di tempi e di scansioni: epoche e periodizzazioni, significati e ‘confini’ cronologici di una civiltà, continuità e fratture, lunghe durate e soluzioni di continuità, costanti (strutture) e varianti dei fenomeni storico-antropologici. Studiosi di assoluto riferimento, quelli che possiamo definire ‘i classici’, hanno disegnato variamente tanti percorsi spazio-temporali del passato, nutrendo e arricchendo la nostra epistemologia e allargando il ventaglio delle nostre prospettive storiche, eppure hanno mancato – ed è naturale e logico – un punto fermo accettato da tutti: si pensi a Gibbon che nella Storia della decadenza e caduta dell’impero romano (1776-1788) non riuscì a trovare una vera e propria cesura temporale. Comunque, malgrado i possibili distinguo, gli storici capiscono a quali fasi temporali ci si riferisce, in linea di massima, se si parla di “tarda antichità” o di “alto medioevo” o di “rinascenza carolingia”. E dunque ecco il punto della prima questione: dopo l’invecchiamento e poi la “decrepitezza” del mondo romano ad Occidente[1], dopo l’entrata degli Arabi sulla scena mediterranea, dopo l’allontanamento dell’Occidente dall’Oriente (e proprio dopo il naufragio in Occidente dell’unità giuridico-diplomatica romana e di conseguenza il passaggio rovinoso dai presìdi di quell’unità, i monumentali libri del Corpus iuris giustinianeo, al particolarismo delle chartae del primo medioevo[2]), dopo questi capitoli di storia, la cosiddetta rinascenza carolingia rappresenta davvero un nuovo inizio, una vicenda nuova, un cambio di percorso? Peraltro, a contrappunto delle fasi di caduta della prima Roma, la diplomatica ci insegna che proprio fra i secoli IV-VI il fenomeno della documentazione crebbe quantitativamente e qualitativamente nelle terre dell’Impero e più tardi, in tempi di particolarismo, ci mostra come i relitti sparsi del naufragio avvenuto portino in luce tante varianti documentarie, finora rimaste nascoste, non solo per le perdite delle testimonianze tardoantiche, scritte su friabilissimo papiro, ma anche per la astrattezza e generalità costitutive delle norme (teodosiana del V secolo e giustinianea del VI) che celavano le varie tipologie della prassi giuridico-diplomatica.
Comunque, dunque, si voglia soppesare il capitolo carolingio (per il problema della “complessa contraddittorietà” degli eventi di cui dice Fichtenau[3], da cui derivano le diverse valutazioni degli storici), una rinascita fra fine VIII e IX secolo c’è stata, quando, fra salvataggio degli autori latini, raccolte e assemblaggio delle leges germaniche in libri legum[4] e produzioni crescenti di chartae, rifiorì sparsamente un ampio mondo di “written word”[5]. Quindi, spazi e tempi nuovi sì, risveglio sì, ma, per logica dei contrari o per eterogenesi dei fini, proprio quelle brillantissime riprese di scrittura, che significano l’accettazione consapevole e intenzionale dell’eredità romana, segnano anche all’estremo, dopo la lunghissima consumazione di quella immane civiltà e la sua interminabile vecchiaia, la chiusura del sipario. Se questa lettura ha una qualche verosimiglianza, allora i documenti del IX secolo sono gli ultimi degli antiquiores, e la seconda serie delle carte costituisce un significativo epilogo di tutta una secolare vicenda.
Una seconda questione posta dalle Chartae del secolo IX ha riguardato il reperimento sistematico dei materiali, che non solo ora sono in crescita esponenziale rispetto al passato (e infatti la seconda serie conterà molti più volumi della prima) ma sono anche poco e male censiti: fin da subito, per esempio, i colleghi e amici della pur eruditissima Germania, interpellati e chiamati a collaborare, sottolineavano la mancanza di inventari e addirittura di numeri di consistenza conosciuti, e solo il fatto che Mark Mersiowsky stesse terminando un ampio lavoro sulla documentazione del IX secolo[6] ha permesso di dedicare un volume ai documenti conservati in luoghi tedeschi.
Dunque, viste le non poche difficoltà anche di base e di partenza, solo una sorta di coraggio incosciente, unitamente a un fortissimo interesse scientifico, hanno fatto sì che la lunga maratona alla ricerca e alla conoscenza delle carte del secolo IX prendesse avvio e procedesse. E in prosieguo dei lavori, l’impegno dell’Editore, la partecipazione di numerosi Autori e il crescente coinvolgimento scientifico di tanti studiosi hanno consentito di affrontare i problemi che ancora, in corso d’opera, si sono presentati.
Nel 1997 (vol. nr. L) hanno così cominciato ad uscire i volumi dedicati all’Italia e alla Svizzera (con S. Gallo in testa), volumi numerosi per l’esistenza di cospicui fondi documentari (tutti accompagnati da attente anagrafi dei rogatari): a Lucca, a S. Gallo, a Piacenza. Il fiume delle chartae s’ingrossava e allo stesso tempo altre questioni si ponevano. Per esempio, la Gran Bretagna, a trent’anni dai suoi 2 volumi nella prima serie (risalenti agli anni 1963 e 1967), non è stata in grado (fra colleghi della Commission internationale de diplomatique invitati insieme a quelli del Comité international de paléographie latine) di presentare nessuno che potesse occuparsi delle carte britanniche del IX secolo. D’altra parte, tali carte (circa 150) sono state messe on line, e questo, per una mentalità oggi purtroppo diffusa, sembrerebbe bastare agli studi e alla conoscenza scientifica. E qui è un altro problema dei nostri tempi e di tanti attuali indirizzi di lavoro: infatti, la messa on line di materiali difficili e complessi come i nostri, se consiste nella pubblicazione di foto con segnature e trascrizioni non controllate, può servire in un’ottica e a fini archivistici, non assolve certamente compiti e fini di studio e di ricerca scientifica.
L’assenza dei documenti inglesi, comunque, non metteva in crisi il nostro progetto, del quale si poteva, in corso d’opera, aggiustare la direzione. Infatti, basta scorrere un atlante storico per incontrare dall’anno 800 in avanti la evidentissima tessera geopolitica dell’Impero carolingio e così inquadrare ora, in un contesto storicizzato, lo spazio delle ChLA del IX secolo, uno spazio che ci richiama un presagio e una immagine suggestiva: “Verrà il giorno in cui, alla corte di Carlo Magno, s’incontreranno l’irlandese Dungal, l’anglosassone Alcuino, lo spagnolo Teodolfo, il longobardo Paolo Diacono. Tutti i personaggi sono al loro posto: può alzarsi il sipario sull’Europa”[7]. Ecco, l’Europa. La presenza sulla scena del IX secolo della nuova entità e lo spostamento del baricentro d’Occidente dal Mediterraneo alle lande settentrionali conducono senza sforzo alle ChLA della seconda serie. Certo, è vero che nome e concetto d’Europa sono discussi e ruminati dalla storiografia – in merito basti pensare, per esempio, alla asciutta Storia dell’idea d’Europa del modernista Federico Chabod e, di contro, a L’Europa. Storia di una civiltà, bellissimo quadro di Lucien Febvre [8] –, ma è anche vero che, quale che sia la percezione di ognuno, “non è errato considerare l’impero carolingio come un preludio d’Europa”[9], mentre tutto il secolo IX, malgrado i suoi limiti e la sua debolezza finale, ha risvegliato “esperienze e ideali”[10] e soprattutto ha generato forme mentali di grande futuro. Quindi, un panorama delle ChLA del IX secolo, che converga verso un baricentro settentrionale, con qualche frangia sul Mediterraneo da cui proviene (Italia meridionale e Spagna), ha un suo senso e una sua coesione e reca in sé un forte significato: è solo per un brutto equivoco e per un’ottica ristretta, infatti, se alcuni studiosi vedono negli scritti documentari un genere testuale tecnico-pratico, mentre invece quei testi rappresentano un grande fenomeno di cultura e di pensiero, di mentalità e di linguaggi, come testimoniano parole, formule e schemi diversi e sparsi nelle ChLA della seconda serie, tutte cariche di un forte fattore transnazionale e culturalmente già ‘europeo’.
Sempre nel corso dei lavori è emersa un’altra questione. L’impresa editoriale delle ChLA (prima serie di 49 volumi per più di 40 anni, seconda serie già di 68 volumi per già più di 20 anni) non poggia su un’istituzione, un’accademia o simili, operanti a tempo indeterminato, ma è sostenuta tutta da un editore privato (coraggioso e un po’ folle?) e perciò, per non restare interrotta a caso, ha imposto ad un certo punto una programmazione di chiusura. Intanto è apparso subito chiaro che non era possibile continuare con i Diplomata Karolinorum, troppi (per la sola Francia circa 300), troppo grandi per dimensioni ed anche in gran numero editi e già riprodotti in facsimile. Si è quindi deciso, per una necessaria economia editoriale, di lasciarli fuori dalle due più importanti aree dell’Impero, la Francia[11] e la Germania[12], dove da lungo tempo quei diplomi sono all’attenzione degli specialisti. Si è infine deciso di chiudere la lunghissima maratona nel 2019, con 2 ultimi volumi di Addenda che raccolgono documenti sfuggiti in precedenza.
Un’impresa di un solo editore, che va per i 70 anni e che conterà alla fine 118 volumi, sembra quasi un portento. E lo sembrerà sempre più quando gli studiosi vorranno immergersi nei piccoli e grandi fiumi di carte che, attraverso un percorso di lunghissima durata, dall’età antica (ellenistico-romana e soprattutto mediterranea) sfociano infine nell’età medievale (romano-barbarica e cristiana, alle radici d’Europa). Un percorso che, contro ogni ostacolo, convoglia una straordinaria messe di materiali ora a disposizione della ricerca e della riflessione di oggi e di domani.
[1] Il termine colorito e significativo è di R. LOPEZ, La nascita dell’Europa. Secoli V-XIV (1962), ed. ital. Torino 1966, p. 56.
[2] Mutuo la definizione dal “particolarismo grafico” di G. CENCETTI, Lineamenti di storia della scrittura latina (1954), rist. a cura di G. GUERRINI FERRI, Bologna 1997, p. 79, perché, proprio come la scrittura, anche la documentazione che proviene dalla comune matrice romana ora va verso “una differenziazione” e “uno svolgimento geograficamente ramificato”.
[3] Così H. von FICHTENAU, L’Impero carolingio (1949), trad. ital. Roma-Bari 1974, p. 3.
[4] R. McKITTERICK, The Carolingians and the written word, Cambridge 1989, cap. 2; su una famosa raccolta di leggi carolingia destinata al Regno Italico v. G. NICOLAJ, Il Liber legum di Everardo e altre storie, in Leges Salicae, Ripuariae, Longobardorum, Baioariorum, Caroli Magni. Archivio del Capitolo della Cattedrale di Modena, ms. O. I. 2, Modena 2008, pp. 75-117.
[5] Dal titolo di McKITTERICK, The Carolingians cit.
[6] M. MERSIOWSKY, Die Urkunde in der Karolingerzeit. Originale, Urkundenpraxis und politische Kommunikation, I-II, Wiesbaden 2015 (Monumenta Germaniae Historica. Schriften, 60).
[7] H.-I. MARROU, Decadenza romana o tarda antichità? III-VI secolo (ed. francese 1977), trad. ital. e rist. Como 2007, pp. 141-142.
[8] F. CHABOD, Storia dell’idea d’Europa (1961), a cura di E. SESTAN e A. SAITTA, Roma-Bari 1977; L. FEBVRE, L’Europa. Storia di una civiltà. Corso tenuto al Collège de France nell’a.a. 1944-1945, ed. ital. 1999, in part. pp. 3-103.
[9] Così R. LOPEZ, La nascita cit., p. 102.
[10] Ibid., p. 118.
[11] Per la Francia, da un primo spoglio condotto su La diplomatique française du Haut Moyen Age. Inventaire des chartes originales antérieures à 1121 conservées en France, sous la direction de B.-M. TOCK, M. COURTOIS et M.-J. GRASSE-GRANDJEAN, avec la collaboration de Ph. DEMONTY, Tournhout 2001, era stato tratto un buon numero (da controllare) di documenti provenienti da emittenti vari, e perciò molto interessanti nel loro complesso, per i quali alcuni colleghi francesi avevano assicurato la loro collaborazione. Purtroppo, per il carico degli impegni di lavoro degli Autori in pectore e per i molti problemi presentati dai documenti stessi, il progetto è sfumato, con una perdita dolorosa, credo, per la Francia in primo luogo.
[12] Fin dagli inizi della collaborazione comunicavo al collega Mersiowsky la dolorosa rinuncia ai diplomi regi e imperiali per la Francia e la Germania e invece auspicavo che nel volume tedesco potessero comparire alcuni specimina, databili al secolo IX, tratti dai celebri libri traditionum tedeschi, ma tirannia di tempo e complessità di questa documentazione hanno precluso ulteriori inclusioni. Dispiace, perché quei libri, al di là delle loro note caratteristiche, avrebbero potuto essere significativi in un’ottica comparativa: c’è da ipotizzare, infatti, che quei libri indichino nella tradizione diplomatica romano-barbarica un’interessante divaricazione fra i suoi due profili, con il ritorno (o la prevalenza) nei paesi tedeschi di una qualche antica mentalità germanica espressa da traditiones accompagnate da brevi scritture nelle quali l’elemento principale sembra essere costituito dai nomi dei testimoni al negozio.